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Una breve biografia di Trevisson Celeste, bellunese, consegnataci da sua nipote
Peppino Zangrando – Spagna grande amore – 26/11/2002

In occasione di un incontro svoltosi nel 1976, presso l’Istituto Storico Bellunese della Resistenza, fra alcuni volontari superstiti (Dal Borgo, D’Alpaos, De Pasqual e Fontanive), il senatore Piero Dal Pozzo, eminente protagonista della lotta antifascista in Spagna e in Italia, mi consegnò un elenco, una trentina di nomi, di bellunesi impegnati a fianco dei Repubblicani in quella cruenta e sfortunata battaglia per la libertà del popolo spagnolo. Si trattava di una cartellina anonima, pervenutagli per estratto da elenchi approssimativi, sia nei nominativi che nell’indicazione dei luoghi di origine, custodita attraverso travagliate vicende personali talora drammatiche, gelosamente conservata dai sopravvissuti ed approdata, a tanti anni di distanza, negli schedari della Fratellanza Garibaldina di Spagna di Bologna, curati dal brigatista internazionale Lorenzo Vanelli. Quei nomi, di casa nostra, apparivano talora deformati nelle desinenze, talora erano solo un cognome, una località d’origine anch’essa storpiata, in qualche caso l’indicazione, frutto di testimonianza orale dei commilitoni, era chiaramente deviata dalle necessità della riservatezza e della vigilanza clandestina, tanto da dissolvere l’identità dell’interessato nel mero anno di nascita in quel Comune della provincia. Una prima ricerca, sui dati più attendibili, mi consentì di pubblicare, nel numero 9/76 della “Rivista Bellunese” una nota che suscitò un certo interesse. Ma quell’iniziale indagine portava alla luce gradualmente, per i successivi apporti dei pochi superstiti in vita nei nostri paesi, per le lettere che pervenirono all’Istituto Storico Bellunese della Resistenza e più avanti, per la collaborazione dell’Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna ed infine per il lavoro scrupoloso di Ferruccio Vendramini presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma, un dato esaltante per il ricercatore di memorie storiche: la partecipazione dei bellunesi, nella milizia volontaria a difesa della Repubblica Spagnola, era stata di gran lunga superiore a quanto (poco) già si sapesse. Essa comprendeva decine di uomini di questa provincia, in gran parte proletari emigranti, provenienti da almeno 29 comuni, anche i più lontani ed isolati: di essi, e soprattutto delle loro aspre vicissitudini, delle loro vite sofferte, delle loro morti nella lotta, delle loro solitudini nei campi di prigionia, nelle isole di confino, nelle carceri, di quel loro primo anticipo della Resistenza armata al fascismo, troppo poco sapevamo e il lungo oblio rischiava di travolgere e seppellire ogni traccia di memoria. Si trattava quindi di scavare in quelle pagine della nostra storia, pazientemente, cercando, nei paesi d’origine (e in Italia e in Francia, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, URSS, Argentina) ogni frammento della loro presenza, ogni traccia dei loro atti, per comporre, con l’esattezza che i lunghi decenni già trascorsi ha permesso, il quadro di questa straordinaria pagina della Resistenza Europea. Perché di questo si tratta: di far risaltare l’opera di questi uomini, nell’inedita storia dell’emigrazione politica e della milizia più coerente e combattiva per l’emancipazione delle genti.

UNA STORIA DA SCRIVERE

Non solo una storia sociale e politica della nostra emigrazione nel continente e oltreoceano attende ancora di essere scritta, ma nessuno ha finora (salvo recenti studi sulle migrazioni di altro secolo in America Latina) scritto compitamente della storia dell’emigrazione bellunese. E sì che i documenti non mancano e le fonti orali non sono ancora inaridite. Solo recentemente, nel quadro di una più generale ricerca sulla dimensione e direzione mitteleuropea del fenomeno, si è pervenuti alla identificazione dei nuclei, di origine bellunese, tuttora esistenti a Plostine in Croazia, in Bosnia, in Transilvania. La ricerca si è però ad oggi attestata nei termini pre-unitari dello spostamento di intere popolazioni all’interno dei vecchi confini imperiali, spostamento determinato dalla politica austroungarica di nuovi spazi di insediamento, legati alla lavorazione del prodotto boschivo, praticamente evidenziando i soli aspetti etnici della vicenda, spesso al livello della mera indagine linguistico-semantica e della rievocazione di una “bellunesità” di basso profilo. Ed è inevitabile che lo studio si arresti a langua, allorquando si eviti di scavare all’interno del magma sociale che ha originato il trasferimento di intere collettività, misconoscendo le profonde motivazioni di ordine economico ed in primo luogo le storiche responsabilità dei ceti dominanti, la cui politica ha, da sempre ad oggi, cagionato l’esodo della popolazione “esubere” dalla società della montagna. Il discorso va troppo lontano per i limiti di questo breve saggio. Sta, però, di fatto che per noi (e per le popolazioni del Friuli, della montagna vicentina e trevigiana, della bergamasca e di gran parte delle zone alpine), la rivoluzione industriale si è tradotta nel massimo di sfruttamento delle risorse, prima forestali e poi idriche, senza insediamenti stabili e con espulsione di mano d’opera oltre i confini, in occupazioni precarie e bassamente qualificate dapprima e, più tardi, nella costruzione delle grandi strutture edilizie, in particolare stradali e ferroviarie. Basti qui ricordare la stagionale opera degli emigranti di Valcellina, impiegati nella costruzione dei ponti sul Danubio a Budapest; dei cadorini in Austria per le strade imperiali; dei feltrini in Tirolo e in Germania nei lavori sulle linee ferroviarie. Queste vicende umane hanno avuto egregio spazio nella narrazione di due insigni scrittori veneti: nelle opere del vicentino Mario Rigoni Stern (La storia di Tonle) e del friulano Carlo Sgorlon (La conchiglia di Anataj). Nell’una, il montanaro degli altipiani di Asiago che a piedi percorre il Nordeuropea per il suo gramo commercio, ci richiama mille figure, a noi note, del piccolo traffico della povera gente; cucchiai di legno da Erto, figurine di terracotta dal Cadore, frutta cotta dallo Zoldano, sedie impagliate da Gosaldo. Nell’altra, i manovali friulani e cadorini, sperduti nell’immensa santa Russia dello zar a costruire la Transiberiana, nelle tundre e nelle taighe, sono gli stessi di Bariloche, del Canadà, del Transvaal, dell’Australia e di Instambul, delle foreste, delle paludi e savane.
Mille e mille figure di uomini e di donne il cui ricordo è una data di nascita su ingialliti registri parrocchiali, cui molto spesso non corrisponde la data di una morte.

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TREVISSON Celeste, fu Francesco. Nacque il 19.6.1907 a Limana. Espatriato in Francia fu ricercato e perseguitato. Fu tenente delle Brigate Internazionali e nel gennaio 1939 si trovava al centro di smobilitazione di Alciros-Levante. Rientrato in Francia fu internato nel campo di Gurs.
Secondo i familiari (un fratello a Pedavena e due sorelle a Limana) il Trevisson, sposato a Madrid, sarebbe rientrato clandestinamente in Spagna per rivedere la famiglia e, identificato dalla polizia franchista, sarebbe stato arrestato e ucciso. E’ certo che, fino al 1970, una figlia del Trevisson (Garcia Maria Luisa), scriveva agli zii a Belluno.
La sua scheda biografica è contenuta nel libro dedicato ai Volontari Antifascisti Bellunesi che hanno combattuto in Spagna a difesa della Repubblica: “Spagna grande amore” scritto da Peppino Zangrando e pubblicato dall’Istituto storico della Resistenza di Belluno (1986).

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