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VIAGGIO DI STUDIO ALL’ISOLA DI VENTOTENE 26 – 29 SETTEMBRE 2022

Quanti ed attraverso quali percorsi i reduci di Spagna sono rientrati in Italia dopo la guerra di Spagna e sino alla fine della seconda guerra mondiale? Pochi sono in realtà gli studi dedicati a questo tema. Il percorso inizia per molti nel febbraio del 1939 quando escono dalla Spagna finendo internati nei campi di concentramento francesi. Escono in quei giorni circa mille italiani reduci in buona parte delle Brigate Internazionali (Per André Marty erano 917, altre fonti danno comunque un numero superiore ai 900). Erano divisi in due grandi gruppi, uno di questi era guidato da Aldo Morandi. Finiscono rinchiusi ad Argeles e a Saint Cyprien, distese di sabbia prive di tutto nel sud della Francia, dove devono costruirsi baracche, latrine, strutture varie. Dopo alcuni mesi sono spostati al campo di Gurs, e qui sono raggiunti da altri reduci usciti a suo tempo dalla Spagna senza conseguenze, ma arrestati in Francia ed internati. Infine una buona parte, ma non tutti, è spostata al campo di punizione di Le Vernet.

Qui gli internati italiani sono raggiunti dai membri della Commissione incaricata della traduzione in Italia di quanti ne avessero fatto domanda in ottemperanza al dettato degli accordi di armistizio tra Italia e Francia. Il gruppo italiano si divide in due, e circa cinquecento internati nei campi francesi rientrano in Italia. Ma in Italia sono raggiunti pure da altri reduci che non erano stati per vari motivi internati. Vi è chi viene arrestato in Francia e tradotto in Italia direttamente senza passare per i campi, chi giunge per vie clandestine con il compito di organizzare la Resistenza, chi non era ancora conosciuto dalle forze di polizia fasciste, chiede di rientrare e se la cava con ammonizioni e pene relativamente lievi. Vi è anche chi chiede di rientrare dopo il 25 luglio del 1943 sperando in una caduta definitiva del fascismo. Una quarantina viene tradotta direttamente in Italia dai campi di prigionia franchisti in Spagna. In totale, fra il 1939 e la fine della seconda guerra mondiale, rientrano in Italia fra ottocentocinquanta e novecento reduci, in massima parte tradotti dalla Francia con le manette ai polsi e sotto scorta dei carabinieri. Giunti in Italia, dopo gli interrogatori, alcuni finiscono in carcere, altri sorvegliati a casa in regime di ammonizione, altri ancora al confino alle Tremiti ed in altre località, la grande maggioranza finisce a Ventotene.

Molti di noi sbarcavano per la prima volta su questa bellissima isola, sempre battuta dal vento, con una vegetazione superba anche se priva di corsi d’acqua, l’unica acqua disponibile era quella piovana o quella trasportata dalla costa con le navi (da alcuni anni funziona anche sull’isola un desalinizzatore). Dai calcoli nostri e da quelli di Filomena Gargiulo, autrice di un interessante libro sul confino nell’isola (Ventotene isola di confino. Confinati politici e isolani sotto le leggi speciali 1926 – 1943, Genova – Ventotene, Ultima Spiaggia 2013) e di Navone, a Ventotene finirono oltre cinquecentocinquanta reduci di Spagna, su un totale di confinati che ha sfiorato (in tempi diversi) le duemila persone. Tra loro alcuni, seppure non moltissimi, dirigenti politici e militari di rilievo, che avevano avuto in Spagna, ed ebbero durante la Resistenza italiana, un ruolo fondamentale: Luigi Longo, Giuseppe Alberganti, Giuseppe Di Vittorio, Giorgio Braccialarghe ed altri. Assieme a loro giovani combattenti che divennero importanti comandanti partigiani come Giovanni Pesce o Anello Poma. I reduci di Spagna hanno condiviso il luogo con personaggi di grande rilievo della storia e dell’antifascismo italiani (tra gli altri il futuro presidente della repubblica italiana, Sandro Pertini), ma anche con centinaia di semplici antifascisti e combattenti, che riuscirono però ad organizzare sull’isola una biblioteca clandestina, oltre a quella ufficiale, e corsi di formazione politica e militare. E che a partire dall’autunno del 1943 costituirono il nerbo delle formazioni partigiane. A Ventotene fu scritto da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, il Manifesto per una Europa unita e solidale, discusso anche dagli altri confinati che espressero in merito consensi ma anche dubbi e perplessità.

Ventotene è stata parte importante di un sistema di luoghi di segregazione attivi sin dall’antichità, quando sull’isola venne confinata Giulia maggiore, figlia dell’imperatore Augusto e di Scribonia. Nella piccola isola di Santo Stefano, accanto a Ventotene, fu costruito alla fine del 1700 un tetro carcere borbonico dove furono rinchiusi molti liberali dell’epoca. Infine, durante il periodo fascista Ventotene divenne sede di confino per circa duemila antifascisti, internati in periodi diversi, come la vicina isola di Ponza. Con le esperte guide del Centro di Ricerca e Documentazione sul Confino Politico – Isole di Ventotene e Santo Stefano, e sotto la direzione di Anthony Santilli, abbiamo appreso molte cose sia della storia dell’isola che dei rapporti tra confinati e popolazione negli anni
in cui Ventotene funzionò come carcere per gli antifascisti. La mattina del 27 settembre Salvatore Schiano Di Colella ci ha illustrato la storia del carcere di Santo Stefano, dalla sua costruzione sino alla chiusura negli anni Sessanta; purtroppo le condizioni del mare hanno impedito di svolgere la lezione proprio sulla piccolissima isola che ospita il carcere. Il carcere era costruito in modo tale che una unica guardia posta al centro poteva controllare tutte le celle; vi furono rinchiuse nell’Ottocento alcune personalità del Risorgimento italiano, e durante il fascismo oppositori politici come Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Sandro Pertini.

Nel pomeriggio, Filomena Gargiulo ci ha accompagnato in un percorso utilissimo per capire i luoghi ed i tragitti dei confinati durante gli anni in cui l’isola fu sede di confino per gli antifascisti, i percorsi obbligati di questi ultimi, i rapporti con la popolazione. Abbiamo da lei avuto conferma di quanto alcuni di noi già sapevano. Al confino si finiva per via amministrativa, perché si era scomodi, e non perché si aveva commesso qualche reato. I confinati politici a Ventotene avevano uno spazio di movimento limitato al centro storico, in un isola già piccola di per se (tre chilometri per ottocento metri) il percorso era claustrofobico. Non potevano passeggiare in gruppi di più di due persone. I controlli erano severi ed alcuni, ritenuti pericolosi, erano seguiti nei loro movimenti da una guardia con l’incarico di ascoltare i loro discorsi. Dormivano in casermoni, freddi d’inverno, ora abbattuti per fare posto all’attuale campo sportivo ed al centro polivalente. La biblioteca era posta dove ora c’è l’ufficio postale. Le mense erano divise per appartenenza politica, anche i cosiddetti “manciuriani”, meno politicizzati ed isolati in quanto sospetti di essere informatori della direzione, ne avevano una. Vi era anche una mensa per gli ammalati, con i quali gli altri confinati dividevano per solidarietà le razioni già scarse. Potevano andare alla spiaggia in piccoli gruppi ed a ore definite soprattutto per lavarsi essendo l’isola carente di acqua dolce, alcuni lavoravano in piccole botteghe artigianali o avevano assegnato uno spazio agricolo da coltivare. La presenza, a partire dagli arrivi cospicui del 1939 mentre prima i numeri erano minori, di otto – novecento confinati e di alcune centinaia di guardie su un isola che allora contava un migliaio di abitanti (ora ne conta meno della metà) rendeva il problema dei rifornimenti complicato.

Il giorno 27 infine non è mancata una visita guidata da Silvana Aiello alle enormi cisterne scavate nel tufo e ricoperte di cocciopesto che costituivano il sistema idraulico di epoca romana, poi successivamente luogo di riparo contro le scorribande dei pirati e di detenzione. La mattina del 28 Anthony Santilli ha parlato del Manifesto di Ventotene, e delle reazioni non sempre positive che accompagnarono la sua stesura nel dibattito tra internati. Nel pomeriggio Italo Poma, presidente dell’Aicvas, ha parlato del percorso dei combattenti di Spagna dai campi di concentramento francesi nel 1939 al confino in Italia alla Resistenza.

L’AICVAS ritiene l’isola di Ventotene un luogo fondamentale di memoria dei combattenti antifranchisti italiani, un punto di riferimento per quanti vogliano ricostruire i loro percorsi di rientro in quell’Italia che avevano abbandonato talvolta anche clandestinamente per lottare in Spagna per la democrazia e la giustizia sociale. Questo viaggio è una prima tappa.

Marco Puppini

Di admin