Ricordo di Italo Nicoletto, nel 10° anniversario della sua scomparsa.
A Brescia è stato letto un ricordo di Italo Nicoletto, che fu Ispettore delle Brigate Garibaldi. scritto da
Giovanni Pesce – – 08/01/2003
Alle volte ci si interroga sul significato d’una commemorazione. Non c’è il pericolo nel rievocare una figura incontrata, stimata e amata e che ha lasciato in noi un segno indimenticabile, di farne un ritratto in cui le parole, per affetto, possono suonare come di circostanza, i fatti come una sequenza obbligatoria, suscitando in chi ascolta o legge il dubbio di seguire un rituale, col rischio di qualche scivolone retorico o banale?
Credo che ricordando fedelmente, come la memoria ricorda e riporta i fatti da citare e le parole da usare, nel caso della figura di Italo Nicoletto i dubbi e i rischi come quelli temuti, non vi siano per nulla. Perché la figura di Nicoletto è scolpita e scandita dagli avvenimenti di cui è stato protagonista o partecipe. Uno per tutti, ma parlerò anche degli altri. Gli toccò, per esperienza, coraggio, capacità militare e politica, di reggere sulle sue spalle il comando militare del Corpo Volontari della Libertà a Torino. Uno dei centri nevralgici della Resistenza nel cuore dell’Italia industriale di allora. Quando il 25 aprile la battaglia vittoriosa era conclusa e quello che attendeva le formazioni partigiane era la consacrazione della vittoria con una cerimonia trionfale e ufficiale, Nicoletto che era stato l’animatore di quella battaglia, come del resto della Resistenza armata, disse al suo vice: “Sono stanco, non sto bene, vado a casa. Alle dodici vengono gli alleati, consegna tu la città”. Un gesto che descrive benissimo da solo il carattere d’un uomo. Nicoletto tornò a Brescia, dove c’era molto da fare, dov’era vissuto sin da quando i suoi genitori, emigrati in Germania a Oberhausen dov’era nato nel 1909, decisero di affidarlo ai nonni a Brescia, poiché le condizioni di vita e di lavoro all’estero non lasciavano né mezzi né tempo per occuparsi del piccolo Italo che a due anni venne accompagnato in Italia. Mostrò precocemente la sua sensibilità sociale il giovanissimo Italo, che a diciassette anni venne sospeso dal liceo per aver solidarizzato con i lavoratori. Da quel momento diventa quasi a tempo pieno l’impegno politico di Nicoletto che lo condurrà all’adesione alla Federazione Giovanile del Partito Comunista d’Italia e, passo dopo passo, anno dopo anno, all’arresto (la sua attività di militante si manifesta nell’epoca del fascismo ormai regime), al suo invio al confino dove frequenterà la vera Università politica della sua vita: quella dell’incontro con gli oppositori segregati nelle isole di Lipari, Ponza e Tremiti. Sono gli anni fra il 1927 e il 1936. Nicoletto scontata la condanna al confino, riprende l’attività politica. C’era stata la scuola del confino, con i militanti più preparati, ora per Nicoletto libero e maturato dalla sofferenza della deportazione, ma anche dal contatto umano e culturale con gli uomini che sarebbero stati l’anima della Resistenza, come erano pur privi di libertà, la forza di una opposizione che non conosceva la resa, adesso c’era – come sempre nella sua vita – dell’altro da fare. In quali valori crede Italo? In una società giusta, una grande speranza che diventa fede nell’avvenire, nell’umanità, nella solidarietà fra gli oppressi o, come direbbero i cattolici, fra gli ultimi che però invece di rassegnarsi alla repressione, credono in un futuro di libertà e di democrazia. E’ comunista, assieme ai comunisti: sono la forza più determinata e concreta dell’opposizione al regime. Credono ed operano perché il regime non sia eterno, come esso tende a far credere, una forza cui rassegnarsi come possono far temere gli arresti che conducono in carcere molti antifascisti nel 1937. Un’onda repressiva che colpirà a lungo, ma alla quale Nicoletto sfugge, raggiungendo Parigi attraverso un itinerario tortuoso e avventuroso che passa per la Jugoslavia e quindi per Marsiglia: lascia il Midi, ma vi tornerà anni dopo, altra tappa della sua vita di capo politico e militare. Nella capitale francese entra in contatto con il Centro estero del PCd’I. Gli viene proposto da raggiungere Mosca per frequentare la scuola leninista. Invece Nicoletto – ecco un’altra scelta che ne scandisce i connotati di combattente – chiede ed ottiene di raggiungere la Brigata Garibaldi in Spagna. Dunque niente rassegnazione ma partecipazione alla guerra contro i golpisti di Franco e i suoi alleati nazifascisti. La lotta non è in Italia stavolta, ma in Spagna. Domani però la lotta per la democrazia sarà in Italia: è la fede che anima. E’ quello che dirà il presidente repubblicano Juan Negrin ai combattenti italiani delle Brigate Internazionali. Franco vincerà ma nella battaglia di Guadalajara il fascismo con i suoi legionari avvertirà i segnali della sua disfatta futura, proprio ad opera dei garibaldini e degli altri combattenti italiani. Dopo la Spagna Nicoletto risale i Pirenei assieme ai profughi e torna a Parigi. Svolge attività editoriale antifascista. Altra scelta importante nel 1939: Nicoletto non approva il patto Molotov-Ribbentrop e quando la Francia viene invasa dai tedeschi si trasferisce con la famiglia nel Midi dove, senza perdere tempo, organizza i Franc Tireurs Partisans. La rete colpisce obiettivi militari tedeschi e dei collaborazionisti di Petain. Un rastrellamento gli è fatale: catturato, viene processato, condannato a 6 anni e trasferito in Italia. Solo un documento falso lo salva da una condanna a morte. La sua è battaglia per la libertà: prima in Italia, poi in Spagna, quindi in Francia e ora in Italia. L’8 settembre lo fa uscire dal carcere. Adesso si realizza, non solo per Nicoletto, il sogno dei combattenti delle Brigate garibaldine e internazionali del 1937: oggi la Spagna, domani l’Italia. Comincia nelle Langhe come ispettore delle Brigate garibaldine: le sue esperienze militari in Spagna e in Francia ne fanno un capo esperto che assumerà la responsabilità della lotta armata a Torino. Nicoletto sarà, di volta in volta, dirigente politico, esponente parlamentare, dirigente della federazione bresciana del PCI. Gli anni saranno sempre quelli in cui ci sarà sempre da fare per l’emancipazione dei lavoratori e per la difesa della democrazia. E Nicoletto nella sua amata terra bresciana sarà sempre protagonista attivo e schivo, fino alla conclusione della sua esistenza. Il momento in cui il PCI deciderà la sua svolta, il vecchio combattente compirà una scelta tormentata, come gli accadde di fare allorché scelse le trincee di Spagna alla scuola di Mosca, come quando fu tra gli esuli comunisti in Francia che non accettarono il patto del 1939 fra Mosca e Berlino e scelse la lotta partigiana. All’ultimo passo, Nicoletto decise per il PDS: quella scelta fu forse quella più dolorosa della sua vita.